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Ringrazio l'editore Palladino per l'autorizzazione ad utilizzare i contenuti del testo " Dal Samniticum Nosocomium al Cardarelli, in Campobasso. Capoluogo del Molise, Vol II Palladino Editore 2008 ".
Dopo la seconda restaurazione borbonica l'assistenza sanitaria a Campobasso non subì modifiche: come sempre, rimase assicurata da un ristretto numero di medici e chirurghi che raramente raggiungevano le 10 unità. Dei medici presenti in città 4 venivano stipendiati dal comune, due medici e due chirurghi che duravano in carica un triennio rinnovabile, anche se nei periodi meno floridi per le finanze municipali venivano ridotti a due. Coadiuvavano la classe medica i farmacisti e affini. Altre figure professionali dedicate erano il salassatore flebotomo, il dentista, il bracheraio (costruttore di cinti erniari) l'allevatrice. Tutti costoro, per esercitare l'arte salutare, dovevano pagare una tassa annua. La chirurgia era limitata alla cura delle ferite e delle fratture, al trattamento delle ernie, delle cataratte, delle piaghe, delle fistole e della calcolosi vescicale. Solo mani più esperte tentavano interventi più arditi. Di competenza del chirurgo era anche la sifilide, che esordiva con una ulcera genitale. Le basi teoriche filosofiche che dominavano la medicina di quel periodo erano orientate verso l'empirismo.
Dagli anni trenta dell'Ottocento le cose cominciarono a modificarsi per opera, principalmente, di Michelangelo Ziccardi che introdusse la medicina positivo-
Era sorto fuori città sulle rovine del monastero dei Frati Minori osservanti. Questo, crollato nel terremoto del 1805, veniva utilizzato anche come infermeria e convalescenziario per i frati malati di tutta la provincia Francescana di Sant'Angelo del Gargano, perché situato su di una collinetta asciutta e ben ventilata, ritenuta salubre. La medicina curativa di quel periodo era di tipo esclusivamente domiciliare, qualsiasi tipo di malattia doveva essere curata a casa perché ricoverarsi in ospedale significava, per un abbiente, essere sceso di molto nella scala sociale. L'ospedale, quindi, dalla classe dirigente, non era visto come una struttura sanitaria di pubblica utilità, ma solo come l'evoluzione del sistema caritativo che attraverso gli hospitalia delle confraternite religiose offriva ospitalità e assistenza ai poveri ed ai viaggiatori di passaggio che, se malati, potevano non essere accolti nelle taverne.
L'ospedale era governato dal Consiglio generale degli Ospizi attraverso la figura di un direttore che non era un medico, durava in carica tre anni, rinnovabili, ed era scelto fra le personalità benestanti della città, in quanto doveva svolgere questa attività impegnativa a titolo gratuito e poteva essere coadiuvato da un vice direttore. Erano comunque previste gratificazioni in caso di gestione positiva. L'organizzazione interna era articolata in due sezioni, una medica ed una chirurgica, dirette la prima da un medico fisico e la seconda da un medico cerusico. Il personale di assistenza era formato da un infermiere, un flebotomo salassatore e un modesto numero di inservienti. Mentre il flebotomo, l'equivalente dell'infermiere di chirurgia, avendo fra i suoi compiti, oltre all'esecuzione dei salassi, anche le medicazioni, i clisteri ed altre piccole manovre chirurgiche, doveva essere dotato di titolo specifico, che si conseguiva nelle scuole mediche pubbliche e private, l'infermiere, che non aveva compiti assistenziali diretti tranne la responsabilità dell'esatta somministrazione dei farmaci su prescrizione dei medici, non aveva bisogno di un titolo specifico perché non era inserito tra le figure professionali esercenti attività sanitaria dunque, i soli requisiti richiesti per l'assunzione erano l'onestà personale, l'intelligenza e la capacità di leggere, scrivere e fare di conto. All'infermiere era affidato il controllo degli inservienti, i quali svolgevano compiti di assistenza diretta come la pulizia del malato, il cambio della biancheria, il rifacimento del letto, i bagni ed i semicupi terapeutici e via di seguito, e di tutto l'altro personale esecutivo.
Dopo il direttore, la figura più importante tra il personale direttivo, al di sopra anche dei medici, era quella del cappellano che aveva il compito di assistere spiritualmente, di giorno e di notte, i ricoverati che avevano, a loro volta, l'obbligo, di confessarsi per essere sempre pronti ad una morte cristiana, partecipando a tutte le funzioni religiose giornaliere. Nel regolamento non era prevista l'ipotesi di un ricoverato laico o appartenente ad altra fede religiosa. Il regolamento era molto preciso nello stabilire quale dovesse essere il vitto standard. Altrettanto preciso era nello stabilire il corredo del posto letto del ricoverato sia per il periodo estivo che per quello invernale. La struttura fu arredata con 40 piazze che servivano per ricoverare oltre a 30 malati anche militari, gendarmi e per eventuali paganti, per i quali erano previsti anche ambienti singoli. Il posto letto era costituito da due scanni di ferro, sui quali erano poggiate tre assi di legno trattato con olio anti parassiti, da un sacco di tela contenente paglia o foglie di granone, sul quale veniva appoggiato un materasso di lana, e da due cuscini di lana. Ogni posto letto era dotato di 6 cambi di lenzuola e federe, di coperte di lana per l'inverno e di cotone per l'estate. Scodelle, piatti, posate, brocca e bicchieri, tovaglioli eccetera completavano l'arredo del posto letto. Per ogni due letti vi era una colonnetta con un solo orinale. Non vi erano gabinetti ma luoghi immondi posti all'esterno, dove si vuotavano i vasi da seduta ed i pitali. Gli arredi furono acquistati alla fiera di Foggia con notevole risparmio. Nell'edificio erano stati previsti vari ambienti: una stanza per moribondi ed una per l'isolamento di sospetti infettivi; due sale operatorie, una per gli uomini l'altra per le donne; un teatro anatomico per le autopsie, alcune stanze per i malati abbienti; una stanza per la direzione; una stanza per il Cappellano, un'altra per l'infermiere, il guardaroba, la cucina, la dispensa e l'alloggio per il portiere.
Per la gestione che, sempre secondo il regolamento, poteva essere diretta oppure essere affidata a privati mediante gara di appalto al ribasso il Consiglio optò per la seconda soluzione. All'appaltatore va fatto obbligo della manutenzione degli arredi e dei corredi che gli vengono affidati e che avrebbe dovuto restituire nelle identiche condizioni, alla fine del sessennio; di cambiare settimanalmente la biancheria dei letti degli Infermi; di cambiare trimestralmente la paglia nei paglioni; di far rifare annualmente materassi e cuscini di lana; di variare le coperte con il cambio di stagione; di curare l'esatta preparazione e distribuzione del vitto ai malati; di acquistare le medicine; di provvedere a tutto l'occorrente per la somministrazione dei sacramenti, al trasporto delle salme al cimitero, all'illuminazione serale e notturna, al riscaldamento invernale di tutti gli ambienti, all'assunzione e al pagamento del cuoco e di tutti gli inservienti di cucina, all'acquisto degli attrezzi da cucina e della cura della qualità e quantità del vitto per il personale. L'appaltatore accettava di non ricorrere al tribunale civile ma a quello amministrativo, di pagare una cauzione e di accettare l'appalto in danno e di risiedere a Campobasso. A fronte di tutti gli obblighi previsti il partecipante alla gara doveva stabilire la somma che si richiedeva per ciascun ricoverato al giorno. Questa tipologia di gara, del tutto nuova, trovò un solo offerente e come garanti nominò i suoi parenti stretti e si offrì di svolgere l'impegno per la somma di 24 grana al di per ogni ricoverato e la somma di 13 grana per il vitto giornaliero di ciascun dipendente. Non essendovi state altre offerte la gara fu aggiudicata a tal Bellini che offrì, per la cauzione di tremila Ducati, le proprietà di famiglia. Il consiglio degli Ospizi, per sua maggior tutela, pose un'altra clausola di garanzia nel contratto e cioè che la somma di quattro grana per paziente al dì sarebbe stata trattenuta nella tesoreria e liquidata alla fine del sessennio se i conti fossero stati corretti. L'appaltatore accettò anche questa clausola. Non era previsto il ricovero d'urgenza; la richiesta di ricovero, accompagnata dal certificato medico, era inoltrato dal Sindaco del comune al Presidente del consiglio generale degli Ospizi il quale, in base alla disponibilità del posto letto e del circondario di provenienza dava via libera al ricovero. Ottenuto il nulla osta, il sindaco inviava il malato, accompagnato da una sua lettera di presentazione e dal certificato di povertà rilasciato dal parroco. Giunti in ospedale i malati venivano sottoposti a visita da parte dei sanitari che dovevano confermare la diagnosi e valutare se la malattia rientrasse fra quelle che potevano dar luogo al ricovero. Il che vuol dire che dopo il lungo e disagevole viaggio il malato poteva essere anche rifiutato e costretto al viaggio di ritorno. Le norme erano all'incirca le seguenti: potevano essere ricoverati i malati con affezioni acute e croniche ma curabili in un periodo di circa 2 mesi e che non avessero la possibilità di curarsi a domicilio; erano ricoverabili pazienti con ernia strozzata, con ferite, con fratture e con piaghe curabili; non erano ammessi i malati con lieve indisposizione, i paralitici e gli incurabili. A questi ultimi, però, potevano essere forniti dei medicinali. Non venivano ricoverati i pazienti con malattie contagiose che venivano inviati nei lazzaretti.
Il primo luglio 1871 fu approvato, con decreto del Re Vittorio Emanuele II, il nuovo statuto dell'ospedale, che cambiò sia lo stato giuridico, divenendo Opera Pia, sia il nome che, da Samniticus Nosocomium fu trasformato in Spedale Provinciale di Campobasso. Anche l'organizzazione interna venne modificata: la direzione fu affidata ad un consiglio di governo formato da un presidente e da 4 governatori, tutti nominati, a titolo gratuito, dal Consiglio provinciale, con un periodo di carica di 4 anni, rinnovabili. La capienza viene fissata a 30 posti letto aumentabili in caso di necessità e compatibilmente con il bilancio. L'utenza deve essere formata da poveri, dai militari ed equiparati, dalle meretrici e dai cittadini di altre regioni in transito a Campobasso senza che tuttavia venissero esclusi malati solventi in proprio. Rispetto al vecchio statuto il personale si arricchì di altre figure: il segretario contabile, il farmacista, il medico ed il personale subalterno per il servizio bagni ed un numero indefinito di personale per il servizio economale. La gestione delle Suore di carità era discretamente rigida per cui si venne a creare una rivalità con la Presidenza. La rottura si verificò quando la superiora scrisse che era necessario aumentare il numero dei letti perché si vedeva costretta a sistemare anche due infermi nello stesso letto. Da questo momento inizia una conflittualità che terminò con l'allontanamento delle suore poi richiamate che poi, nel 1875, se ne andarono nuovamente via. La regressione dell'ospedale, nonostante la presenza ed il lavoro di ottimi professionisti, iniziò inesorabilmente quando furono istituiti l'ospedale di Isernia nel 1886, con 15 letti e di Larino nel 1896 con 6 letti.
Prima conseguenza fu la riduzione dei posti letto, che passarono da 40 a 22. Malgrado la riduzione dei ricoverati, i mezzi economici rimasero tanto modesti da non consentire un dignitoso trattamento ai pazienti ed una corretta manutenzione ordinaria e straordinaria, con un rapido deterioramento, anche fisico, della struttura. Quello che lasciava a desiderare era l'assistenza che oggi definiamo alberghiera, tanto che i chirurghi dell'ospedale aprirono in città, nel 1902, la prima casa di salute chirurgica privata che incontrò notevole successo. Alle presunte lamentele della gente, riferita dai giornali, la Prefettura e la Provincia rispondevano ordinando ispezioni che non risolvevano il problema all'origine. Il Presidente e i governatori nominati dopo poco si dimettevano, non riuscendo a migliorare la gestione interna, tanto che nel 1901 si ebbe la prima gestione commissariale dell'ospedale. Si dovette affrontare il problema di un nuovo statuto che confermasse nel diritto ciò che era avvenuto di fatto e cioè che l'ospedale da Provinciale era divenuto Circondariale. Il nuovo nome fu Infatti cambiato in Ospedale Circondariale di Campobasso. L'edificio subì seri danni a causa del terremoto del 1913 tanto da apparire sempre più inadeguato alla funzione cui era destinato. L'inadeguatezza diveniva sempre più palese pertanto si pensò si dovesse costruire un nuovo ospedale, possibilmente a padiglioni. Ma a causa della guerra si dovette rinunziare a questo progetto.
Le condizioni economiche del dopoguerra non consentirono l'esecuzione del completo restauro, ma la provincia ottenne un mutuo per costruire un corpo aggiunto all'edificio, da destinare a tubercolosario. Nonostante i lavori effettuati le condizioni dell'ospedale rimasero tanto precarie che, nella seduta del Consiglio provinciale del febbraio 1920 il Prefetto così si espresse: ho visitato di recente l'ospedale di Campobasso e ne ho riportato una impressione penosissima. Può dirsi che esista solo una sala operatoria nella quale valenti chirurghi esplicano il loro benefico ministero; l'ospedale nel senso moderno della parola non esiste.
Nel 1925 fu decisa la sua completa ristrutturazione. Il 28 luglio 1927 l'ospedale fu nuovamente inaugurato con manifestazioni e linguaggio tipici dello stile del regime da poco consolidato; cambiava altresì nome divenendo: ospedale civile Antonio Cardarelli. Con la legge del 1923 lo stato giuridico era mutato da Opera Pia in IPAB. Contava 60 posti letto, elegantemente arredato, pulito e ordinato, ben organizzato e diretto. La vocazione del nosocomio era prevalentemente chirurgica, ma era dotato anche di una sezione medica, di una sala celtica, di una sezione maternità con sala parto e di piccoli reparti di oculistica, otorinolaringoiatria, odontoiatria, radiologia con Radioterapia e laboratorio di analisi. All'interno della struttura fu ricavato anche un centro di medicina preventiva chiamato dispensario di igiene sociale, in linea con l'iniziale campagna antitubercolare e di miglioramento della razza impostata dal regime fascista.
La pianta organica dei sanitari era formata da un primario, un aiuto ed un assistente chirurgo e altrettanti per la sezione di medicina. L'assistenza religiosa era assicurata da un Cappellano. Il personale amministrativo era rappresentato da un segretario economo, coadiuvato dalla superiora delle suore. L'assistenza era garantita da quattro suore, da un infermiere capo, tre infermieri e tre infermiere. Un portiere, un facchino, un operaio meccanico, un barbiere e due inservienti di cucina completavano l'organico. Anche se non previsti in pianta organica vi era un medico addetto alla sala celtica ed uno al centro di igiene sociale. Negli anni quaranta fu istituito un reparto di maternità. La carenza di spazi fece formulare l'ipotesi di costruire un nuovo edificio ma la cosa non ebbe seguito per la guerra. Le vicende belliche, intanto, avevano ulteriormente evidenziato le carenze della struttura e l'esiguità del personale di assistenza. Al passaggio del fronte nel 1943 gli inglesi che ricoveravano I propri feriti nel Cardarelli imposero il reperimento di un'enorme quantità di personale esecutivo che fu assunto senza nessun atto deliberativo e subito mandato a casa dopo il passaggio del fronte. Nel 1946 iniziarono i lavori per la sopraelevazione dello stabile e i nuovi locali entrarono in funzione solo nel 1950. Subito però si sentì la necessità di aumentare la capienza e la disponibilità di posti letto per la richiesta di ricoveri, che aumentava progressivamente grazie alle convenzioni stipulate con l'ospedale dalle nuove casse mutue autonome degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti. Tutte le mutue concedevano, ai propri iscritti, il ricovero ospedaliero gratuito, in forma diretta.
Dal primo gennaio 1962 venne aumentata la pianta organica del personale non medico, perché le presenze giornaliere dei ricoverati avevano raggiunto il numero di 200. Il nuovo organigramma prevedeva: 4 amministrativi, 4 ostetriche, 14 infermieri/e, un portiere, 20 portantini-
Nel 1958 si ottenne un ulteriore finanziamento per costruire un terzo piano ma per una serie di motivazioni tecniche il progetto fu accantonato anche alla luce di un finanziamento per la costruzione del nuovo centro ospedaliero dalla capienza di 700 posti letto. Il suolo per edificare il nuovo nosocomio fu concesso dal comune in contrada Tappino, vicino all'ospedale psichiatrico di cui si era iniziata la costruzione. Nel 1968 ottiene la qualifica di ospedale generale provinciale. I tempi per la costruzione del nuovo centro ospedaliero andarono per le lunghe tanto che si attuò il progetto della sopraelevazione terminata nel 1980.
Successivamente entrò in funzione il nuovo Ospedale e il vecchio edificio, ristrutturato, è divenuto sede dell’Azienda Sanitaria del Molise